Il Brasile vuole controllare gli esports
Da quando gli esports hanno iniziato a essere non più un fenomeno di nicchia ma sempre più diffusi al grande pubblico, con spettatori crescenti, montepremi da capogiro e professionisti che guadagnano anche centinaia di migliaia di dollari, un interrogativo in particolare ha coinvolto la comunità: chi deve gestire e controllare gli esports? La vera domanda potrebbe però essere un'altra: hanno bisogno di essere controllati?
La situazione attuale vede i publisher, chi i videogiochi li produce e li lancia sul mercato, essere gli unici indiscussi gestori: d'altronde i videogiochi sono una loro proprietà privata intellettuale e cercare di controllarli significherebbe mettere le mani su un prodotto di altri. Quale soggetto terzo avrebbe tale privilegio? Un soggetto governativo, sportivo, super partes e sovranazionale: possono essere tante le possibilità ma rimane la stessa domanda di prima. Ovvero: hanno bisogno di essere controllati?
Se in Italia la discussione è ancora agli albori, con lo sport federale che vorrebbe iniziare a regolamentare il settore in Italia, i vari attori hanno però già le idee più chiare: squadre, publisher e tournament organizer sono tutti concordi nel chiedere più tutele e un riconoscimento ufficiale ma senza che si arrivi a una eccessiva regolamentazione che non farebbe altro che creare una lenta (e direi obsoleta) macchina burocratica.
A livello internazionale in questo momento la dottrina più seguita è proprio quella richiesta da chi nel settore ci lavora: riconoscerne le figure professionali, fornire incentivi e tutele ma senza appesantire il sistema. Così hanno fatto in Spagna e Francia, ad esempio, già a partire dal 2016 e i risultati oggi sono effettivamente positivi con il settore degli esports che ha ormai raggiunto un livello professionistico (che in Italia nella maggior parte dei casi ancora ci sogniamo).
In Brasile invece le maggiori figure del settore, locali e internazionali che operano nella scena competitiva, sono arrivate a scrivere una lettera pubblica alle istituzioni parlamentari dopo la proposta di legge che vorrebbe imporre una regolamentazione degli esports. L'obiettivo della lettera è far sentire fermamente la propria voce, contraria alle varie proposte di legge che si stanno discutendo nei diversi stati brasiliani di Rio de Janeiro, Espirito Santo, Minas Gerais, Goias e nel distretto federale. Si tratta tuttavia di leggi che sono state avanzate dopo che la legge statale di riferimento, o almeno o la proposta, è stata bocciata a livello federale.
Ad aprile il sito The Esports Observer aveva cercato di capirne di più, concludendo che l'intervento delle confederazioni sulle iniziative private sarebbero illegali, ballando inoltre la legge come inadeguata per la realtà attuale degli esports.
Il punto principale è uno: confederazioni e federazioni brasiliane, sportive o meno che siano, non rappresentano in alcun modo i publisher o gli attori principali del settore esports, pertanto non possono in alcun modo curarne gli interessi. Soprattutto in un mercato che in questo momento è il terzo al mondo dopo Stati Uniti e Cina.
Tra i firmatari della lettera, a dimostrazione dell'importanza della stessa, ci sono anche nomi di primo piano: Ubisoft, Riot Games, ma anche organizzazioni storiche come i Furia, i Pain Gaming o gli Intz, e personalità di spicco come Bruno "Nobru" Goes e Felipe "BRTT" Gonsalves. L'esposizione diretta di nomi di questo calibro fa comprendere quanto la questione sia fondamentale pr costruire il futuro della scena: la prossima grande battaglia ideologica probabilmente si giocherà proprio sui videogiochi competitivi.