Il caso Faze Clan: conviene quotarsi in borsa negli esports?
Un sistema scientificamente dimostrato per rendere le organizzazioni esports economicamente e finanziariamente sostenibili ancora non è stato trovato. Da molti è considerato il Santo Graal dell’esports perché riuscire a mantenere una squadra di livello alto comporta costi decisamente alti: le org sono ormai delle vere e proprie aziende che però non creano un vero e proprio prodotto fisico bensì rilasciano un servizio, per di più digitale, spesso intangibile e di intrattenimento. Per di più senza avere le stesse possibilità di ricavo che possono ad esempio avere i club di sport tradizionali, come i ricavi ottenuti dalla vendita dei diritti Tv, i biglietti acquistati per assistere agli eventi in stadi, palazzetti o arene di proprietà, mentre pochissimo arriva, almeno in percentuale ai costi, dal merchandising e da altri benefit vari.
Fino a questo momento la sostenibilità delle org si è basata sui capitali di investimento di fondi, società di venture capital e brand che hanno sponsorizzato e continuano a sponsorizzare le squadre e i loro team nei vari titoli esports, inclusi i propri influencer e content creator. Questo sistema non può però reggere per sempre perché a un certo punto i fondi investimento, che si chiamano appunto “investimenti”, pretendono un ritorno. Uno sponsor vede il suo “ritorno” economico in termini di immagine ma un investitore, di qualsiasi natura sia, scommette su una realtà fidandosi dei suoi interpreti aspettandosi che quella stessa realtà a un certo punti inizi a monetizzare, recuperando il proprio investimento e ricavandone un surplus.
Secondo il giornalista americano Jordan Fragen, già scrittore per diverse testate di settore e analista per la società Newzoo, le organizzazioni esports si troverebbero alla fine della loro corsa finanziaria: in parole povere, non ci sono nuovi capitali da sfruttare. “Il settore ha avuto negli ultimi anni un’iniezione di capitali e di liquidità impressionante che ha permesso di lanciare l’industry degli esports”, ha scritto Fragen su The Esports Insider: “Adesso gli investitori si aspettano il ritorno dell’investimento, mettono meno capitali e le org sono costrette a cercare altrove modi per gestire finanziariamente le proprie realtà.” Il sistema che sembra essere più indicato per il prossimo step è quello di quotarsi in borsa. Ancora Fragen scrive che allo stato attuale almeno venti aziende esports si trovano quotati su listini di borsa a livello globale, ultimo ma non meno importante i Faze Clan, una delle più blasonate organizzazioni esports che fin dal primo momento hanno intravisto un diverso modello di esports, basato più sull’immagine e sugli influencer/content creator che sulle competizioni.
Successivamente alla fusione con la SPAC, società sotto la BRPM, azienda affiliata al gruppo finanziario B. Riley Financial che dovrebbe annunciare il perfezionamento dell’accordo questo luglio, i Faze Clan hanno deciso di quotarsi in borsa per cercare nuovi capitali. Attualmente però sembra che la situazione non sia delle più rosee con diverse realtà che hanno perso ingenti somme nei primi mesi della quotazione. Secondo il report di Fragen ben sette org in totale hanno perso circa 147 milioni di dollari nel 2021. Perché allora decidere per il “going public” anche negli esports? A rispondere è Crawford, analista che negli ultimi anni si è proprio incentrato nel colmare la distanza tra le aziende che si occupano di esports e gli investitori istituzionali, realizzando diverse ricerche in merito. Arrivando a una conclusione: “Il settore sta maturando nella misura in cui le aziende generano entrate e profitti significativi ora o nel prossimo futuro. Queste imprese in rapida crescita possono utilizzare il capitale per investire nella propria crescita o in una crescita esterna (attraverso accordi di fusione e acquisizione). E uno dei modi più efficienti per accedere al capitale è attraverso il mercato pubblico.”
Secondo Crawford le aziende che si trovano quotate in borsa nel mercato pubblico hanno la possibilità di accedere a un grande ammontare di capitale a un costo minore, soprattutto in riferimento alla possibilità di ottenere liquidità, un problema che diverse organizzazioni stanno affrontando in questo ultimo periodo. D’altronde vendere delle quote all’interno di un mercato privato è decisamente più difficile che farlo in un mercato a cui il pubblico, un pubblico inevitabilmente più vasto, ha accesso. In questo momento le organizzazioni esports sono sostanzialmente davanti a un bivio: tenersi le proprie quote di proprietà confidando che continueranno ad acquisire valore nel tempo o venderle in cambio di “cash” da utilizzare per la gestione quotidiana della propria azienda. "Ogni azienda deve mostrare come diventerà redditizia", ha spiegato ancora Crawford. “Solo perché un'azienda sta bruciando denaro in questo momento, non è necessariamente un male, soprattutto per le aziende in fase iniziale. Amazon lo ha fatto per anni e ora sembra che stiano andando abbastanza bene. Ma [la quotazione in borsa] deve diventare una scelta perché un'azienda arriva a un certo punto di svolta in cui è matura e può effettivamente generare denaro".
Il problema principale delle organizzazioni esports è che, paradossalmente, l’esports è difficilmente monetizzabile, almeno quello nudo e crudo. Daniel Shribman, che si sta occupando in questo periodo della fusione di Faze con SPAC, vede l’esports come un amplificatore delle altre attività dell’azienda “madre”. Come riporta Fragen, a inizio giugno Shribman aveva raccontato alla rivista GQ che “sotto il profilo finanziario gli esports sono insignificanti. Ciò che i Faze hanno fatto differentemente da altre aziende è aver costruito una media company dedicata all’intrattenimento”, un prodotto certamente più vendibile e monetizzabile del semplice team competitivo.