Il mobile non funziona in Europa? Riot Games concentra Wild Rift in Asia
Una sorpresa in senso assoluto, di certo, non è. Che il mobile faccia fatica a imporsi in occidente non è infatti un mistero, considerato che europei e nordamericani sono spesso stati più inclini al gaming su Pc e console. Per un motivo anche semplice che affonda le sue radici in ragioni economiche: nei Paesi più sviluppato è più probabile che si sviluppi una community di gamer intorno a dei dispositivi che costano di più ma che offrono prestazioni migliori, soprattutto in un periodo storico in cui l’unico gioco per cellulare era il caro, vecchio Snake.
Quelle community nei decenni successivi si sono sviluppate, si sono arricchite di contenuti e e di titoli competitivi, gettando le fondamenta degli esports moderni. Nel frattempo nei Paesi in via di sviluppo un PC proprio, o peggio ancora una console, erano difficili da avere: il primo perché aveva un costo esagerato (almeno per uno che potesse avere prestazioni utili a competere), il secondo perché spendere una cifra non esagerata ma comunque considerevole per un dispositivo con cui si può solo giocare non è certo da tutti.
In questo modo gli smartphone che iniziavano a diffondersi erano il compromesso perfetto: portatili, utilizzabili per lavorare e per la vita di tutti i giorni, costo contenuto e ormai, con quelli più moderni, attrezzati anche per giocare ai titoli mobile. Non deve sorprendere ad esempio che la maggior parte dei titoli mobile arrivano proprio dall’Asia, con la Cina che comanda su tutti grazie all’apporto di Tencent che ha acquisito negli anni diversi studi di sviluppo, oltre ad aver acquistato la maggioranza dell’unico grande e importante publisher mobile europeo, Supercell.
Non deve quindi stupire che Riot Games abbia deciso attraverso un comunicato, anche piuttosto scarno, di abbandonare di fatto la gestione dell’esports di League of Legends Wild Rift al di fuori dell’Asia. Il circuito del cugino di League of Legends ha attecchito molto in Asia e soprattutto in Cina dove diverse organizzazioni, anche alcune stesse di quelle che competono nel campionato LPL, hanno investito nel titolo. Motivo che ha convinto Riot Games a investire tutte le proprie forze proprio in Asia, dove costituirà un unico campionato inter-regionale e dove continuerà a operare in prima persona.
Il presidente dell’esports di Riot Games, John Needham, ha raccontato che “abbiamo deciso di mettere il nostro focus dove l’esports e il gaming su mobile sono fiorenti e di abbassare la nostra presenza nel resto del mondo.” Nel 2023 Riot Games centralizzerà tutte le operazioni della scena competitiva di Wild Rift in Asia con la costituzione di una nuova lega che andrà a sostituire l’attuale a partire dall’aprile del prossimo anno. Il nuovo campionato accoglierà dodici team provenienti dalla Cina e dalla sua vecchia Wild Rift League e otto team dalle rimanenti regioni asiatiche, con due split all’anno.
In sostanza sembra quasi avvicinarsi a una lega privata cinese, considerato d’altronde che la stessa Riot Games è posseduta al 100% dal colosso Tencent menzionato in precedenza. Tencent che, ovviamente è cinese. Al di fuori dell’Asia, invece, “Riot Games non opererà più in via diretta ma permetterà a terzi tournament organizer di gestire i tornei dedicati a League of Legends Wild Rift.” In questo modo, sempre secondo il comunicato di Riot, l’azienda potrà avere mano libera per concentrarsi solo ed esclusivamente sulla nuova Wild Rift Asia League.
Il problema, in conclusione, sembra essere più profondo della sola componente esports e legato anche allo stesso gameplay. Wild Rift è un gioco che ormai richiede tanto tempo per essere giocato. Nonostante rimanga semplice e intuitivo, il tempo medio di partita è passato dai 15-20 minuti del primo anno ai 25-30 attuali, diventando di fatto sotto questo aspetto del tutto simile a League of Legends. Un po’ troppo per un titolo mobile che dovrebbe consentire di divertirsi in pochi minuti nei rari momenti di pausa durante la giornata.