Ubisoft fa marcia indietro: niente Six Major negli Emirati Arabi
Attraverso un comunicato semplice, lineare e soprattutto politico Ubisoft ha annunciato di aver fatto marcia indietro riguardo il precedente annuncio di disputare il secondo Major della stagione competitiva di Rainbow Six Siege negli Emirati Arabi Uniti. Come solitamente accade negli ultimi anni, Ubisoft presenta in anteprima durante il Six Invitational, il mondiale del proprio sparatutto tattico, la stagione esports spingendosi il più avanti possibile. Qualche giorno fa, a margine della vittoria dei TSM, nuovi campioni del mondo, contro il Team Empire, l’azienda aveva preannunciato le sedi dei tre prossimi Major: a maggio negli Stati Uniti, ad agosto ad Abu Dhabi e a novembre in Asia.
L’idea di Ubisoft è sempre stata quella di coinvolgere le community dei vari paesi e in qualche modo andare a premiare le nazioni o le regioni che mostrano un interesse crescente verso Rainbow Six Siege, un po’ come accaduto nel 2019 quando l’Italia, tra i paesi con il più alto tasso di crescita di giocatori, ospitò a Milano le finali della Pro League. Negli ultimi due anni la regione Mena, ovvero quella che raccoglie Medio Oriente e Nord Africa, sta crescendo a vista d’occhio nel settore esports con sempre più investimenti e attenzioni, sia lato giocatori che lato governativo. Da qui la spiegazione della scelta di Ubisoft di portare un evento di portata internazionale in un paese della regione, gli Emirati Arabi, appunto, nel tentativo di soddisfare due forze: da un lato premiare gli appassionati mediorientali, dall’altra cedere alla probabile spinta del governo degli Emirati nell’avere un evento di questa importanza, avendo così l’opportunità di mostrare al mondo di esserci.
Tuttavia c’è un fattore che per Ubisoft conta molto di più, come ha lei stessa dimostrato: il parere della community. All’annuncio del Major di Abu Dhabi si sono moltiplicate in pochissimo tempo le lamentele degli appassionati di tutto il mondo, inclusi ex-giocatori professionisti, caster e talent, chiedendo a Ubisoft di fare un passo indietro. Il motivo è semplice: per la community internazionale il paese non è certo, per usare un eufemismo, tra quelli più accondiscendenti verso i diritti delle persone, in particolare della comunità LGBTQ+. Gli Emirati Arabi, come purtroppo molte altre nazioni della regione, non sono certo conosciuti nel mondo per la loro tolleranza verso i diritti della persona, andando totalmente contro quello che è lo spirito primario e naturale dell’esports: l’inclusione e la parità perché dietro lo schermo siamo tutti uguali senza distinzioni di sesso, razza o religione.
Ubisoft, come anticipato, ha ascoltato attentamente la voce della propria community, decidendo di annullare il Major arabo e comunicato che la competizione si terrà in un’altra regione, verosimilmente in Europa considerato che gli altri due Major saranno uno in Asia e il primo in America, in modo da coprire comunque tutte le regioni competitive. “Abbiamo ascoltato in modo chiaro e forte la richiesta che i fan e gli appassionati di Rainbow Six Siege ci hanno fatto in merito alla nostra decisione” le parole ufficiali di Ubisoft, a dimostrazione che la marcia indietro è arrivata proprio dopo le polemiche.
Non è tuttavia la prima volta che un evento esports, o legato a esso, viene messo in discussione dalla community. Nel 2021 la decisione, improvvisa e non comunicata ai dipendenti, dei vertici di Riot Games di accettare la sponsorizzazione di Neom per l’LEC aveva scatenato la durissima reazione dell’intera community esports, inclusi i talent caster che si erano rifiutati di commentare la gioranta successiva se non fosse stata ritirata. Perché tutto questo scalpore? Neom è una società direttamente finanziata dal Fondo Nazionale Saudita (gestito dagli emiri dell’Arabia Saudita) che rappresenta un brand, in particolare associata a una nuova città che gli arabi stanno costruendo in una zona desertica della penisola arabica, sfruttando come rivelato da numerosi report gli stessi abitanti originari di quelle zone, costretti a lasciare le proprie case, oltre a diverse altre comunità. Senza dimenticare che in Arabia Saudita si può essere condannati a morte per omosessualità: un fattore nettamente in contrasto con quelli che sono i valori dell’inclusione e del rispetto dell’altrui persona che un’azienda come Riot Games, anche attraverso le proprie competizioni, ha sempre ammesso di sostenere. Nell’arco di 14 ore appena Riot decise di ritirare la sponsorizzazione, rinunciando all’accordo già sottoscritto.
L’esports non è esclusivo e proprio in tal senso vorrebbe ovviamente raggiungere più persone possibili, com’è giusto che sia. Al tempo stesso però ha delineato un insieme di valori che rappresentano l’asticella minima che bisogna possedere per fare attivamente parte del settore. È uno di quei casi in cui è la stessa community a decidere chi può starne dentro o fuori, prendendosi il diritto di escludere coloro che non soddisfano determinati requisiti. Requisiti, tra l’altro, non impossibili o irraggiungibili ma che anzi sono semplici e universali: su tutti il rispetto incondizionato dei diritti fondamentali dell’uomo.